Parto come sempre dal vangelo per giungere dove siete anche voi e dove sono io, perchè so che queste parole, aldilà della fede e della considerazione che ciascuno può avere nei confronti della religione, queste parole contengono la nostra storia ed hanno il potere di alimentarla.
Un episodio su tutti, quello della donna che versa in abbondanza dell’unguento profumato sul capo di Gesù. Olio di nardo di gran valore. Uno di quei gesti inaspettati, esagerati, spontanei; un gesto che sembra decisamente incurante di ciò che potrà scatenare.
Di certo non passa inosservato. I discepoli ci tengono a precisare, infuriati, che si tratta di uno spreco, che quell’olio poteva essere venduto e il ricavato donato ai poveri. Un ragionamento lineare che a rigor di logica ci sta: è necessario utilizzare in modo giusto gli averi, farli fruttificare, metterli a disposizione degli altri.
Nel vangelo di Giovanni queste parole di sdegno vengono messe sulla bocca di Giuda, ladro oltre che traditore. Si capisce che a Giovanni, discepolo amato, non deve essere andato giù il tradimento di Giuda…
Il termine spreco significa mandare in malora qualcosa: lo spreco alimentare, ad esempio, è quel fenomeno che, soprattutto nei paesi ricchi, prevede una grande perdita del cibo sia dai parte dei consumatori che dei produttori. C’è lo spreco di acqua o lo spreco di denaro, lo spreco di tempo e di energie, e via dicendo.
Insomma constatare che qualcosa non sia utilizzato secondo la sua funzione, genera non solo perplessità ma appunto, come nel caso dei discepoli, il fastidio di vedere dei beni andare in malora.
Nel caso di questa donna però non vi è nulla di tutto ciò; il suo è un gesto che profuma, che è bello nella sua semplicità e purezza, nella sua gioiosa generosità e nella sua riconoscente gratuità che viene però corrotto dalla logica del calcolo e del tornaconto dei discepoli.
Seguono un uomo che ha fatto della sua vita un dono, ma non lo capiscono e si aspettano sempre qualcosa. Ridimensionano tutto alla loro infima portata e non accettano che altri li superino, magari proprio quelli che non sono del loro gruppo.
Non accettano che al di fuori di quella mistica cerchia, ci sia la gioia dell’incontro, l’accoglienza incondizionata dell’altro, ci sia la capacità di vivere il vangelo senza fare proclami e prediche e celebrazioni.
Il gregge troppo spesso ringhia verso quelli che si sono allontanati, e li crede infelici, privi di possibile salvezza, privi di cuore.
Lo sanno a memoria il diritto divino ma scordano sempre il perdono, cantava De Andrè, inchiodando certe forme religiose alla loro ipocrita convinzione di essere sempre nel giusto e che il mondo, fuori, sia per buona parte da condannare.
Ma il punto sul quale torno è la generosità, direi anzi l’eccesso di gioia e di ospitalità, l’abbondanza che scaturisce dal cuore di chi vive una vita piena e grata.
Nella Scrittura incontriamo dei personaggi che non badano a spese. Il primo è Abramo nel famoso episodio delle querce di Mamre. Tre uomini gli vengono incontro e lui li ospita nella sua tenda. Cosa fa preparare? Focacce, panna e latte fresco e un vitello intero. Esagerato, bastava una bistecchina e un poco di pane…Quanto spreco!
Nel vangelo è il padre misericordioso che, avendo riavuto il figlio perduto, fa ammazzare il vitello grasso e organizza un mega party per accoglierlo. Grande gioia, niente calcoli, niente restrizioni. Sei tornato in vita e questo non ha prezzo, la vita non ha prezzo, l’amore, l’affetto non hanno prezzo.
Una gioia però che il figlio maggiore non riesce a condividere; egli si scansa, rinfaccia e grugnisce. Rimprovera al padre quello sperpero per uno che aveva già dilapidato la sua fortuna con puttane e divertimento: fagli pure la festa a questo infame. E a me nemmeno un capretto per una festicciola con i miei amichetti, che magari a puttane ci vanno di nascosto.
Poi l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Qui è Gesù che si inventa un capolavoro di condivisione: da qualche pane e pochi pesci tira fuori un pranzo per migliaia di persone. Tutti mangiano a sazietà e ne avanzarono dodici sporte piene, chiosa l’evangelista.
E questa storia mi riconduce a quei pranzi o cene in cui non manca nulla, dove anzi la roba avanza e devi chiedere alle persone di portarsi via quello che è rimasto. Grandi preparativi per dire agli ospiti che sono graditi e che sono importanti. Sicuro si tratti di spreco?
Se vieni in casa mia devi sentirti a casa; se non ti ci senti e magari sei li che guardi tutto con fastidio e diffidenza, allora sei in una tenebra di mestizia livida di rancore, dalla quale puoi uscire se lo vuoi lasciandoti illuminare dalla gioia di vivere, e il vivere non è mai scontato.
Olio profumato versato in abbondanza è la dedizione di chi è lieto della gioia degli altri avendo la gioia in se stesso; di chi si dona senza misure, sine modo, senza volerci necessariamente andare a paro, perchè crede che ne avanzerà e quell’avanzo sarà il segno di una vita che non va in malora, ma che anzi vive, è feconda e si moltiplica come le stelle del cielo.
Chiediti se la tua vita sia una casa accogliente, se i tuoi gesti profumino di spontanea generosità, se la tua gioia dia pace a chi incontri e se il tuo amore sia strabordante.
La vita che si dona non è mai sprecata: considereresti uno spreco il tempo che passi coi tuoi figli? O le energie che impieghi per svolgere al meglio il tuo lavoro? Pensi sia uno spreco sederti accanto a chi ami, ascoltarla e cercare di darle il meglio ogni giorno che passa? Pensi sia un spreco aiutare persone che non potranno darti nulla in contraccambio?
Questione di prospettive, lo so.
Tutto questo non è da confondere con l’avventatezza di chi non calcola i rischi delle sue scelte; anche il vangelo avvisa di essere si semplici ma anche astuti, di fare bene attenzione quando si progetta qualcosa, di essere pronti e preparati a tutto ciò che la vita invita ad affrontare.
Ma qui si parla di racchiudere il cuore, che è espressione di totalità della persona, in un singolo gesto. Si parla di lasciare lungo la nostra strada qualcosa di noi che rimanga, qualcosa di così forte e appassionato che possa sciogliere anche i terreni più duri e aprire le menti più serrate.
E niente, ricorda, andrà perduto se non ciò che tratteniamo ossessivamente per noi, tutto ciò che di più bello di noi sotterriamo e nascondiamo agli altri per paura che ci venga tolto.
Solo la vita che non si dona sarà una vita sprecata.