“Ero prete”. Leggo nei volti di chi ascolta stupore e un po’ di imbarazzo. Le persone si incuriosiscono: domandano o sentenziano. Io alzo le spalle e sorrido racchiudendo il motivo della scelta di lasciare il ministero nell’amore per la mia compagna, donna meravigliosamente forte, tenacemente radicata nella bontà, la parte che mi completa, mi stimola, mi rassicura.
Quando penso al nostro amore non posso non pensare a quanto grida il Cantico dei Cantici, che lo descrive forte come la morte. Che strano questo accostamento, così intenso, fatale, definitivo. L’amore come la morte prende tutto, vuole tutto, vuole essere seguito senza indugi ne compromessi. È l’amore richiesto dal Cristo ed è ciò che chiede allo stesso modo l’amore umano.
Sono dell’idea che al prete venga richiesta una rinuncia troppo grande, è una costola quella che viene tolta, è una ferita quella che viene inferta. Eppure per la chiesa sta proprio qui il sacrificio che può aprire un cielo nuovo a chi vive nel celibato e forse è vero che la storia umana possa prevedere uomini e donne dediti completamente al regno, per quel che significa.
Posso dire di aver conosciuto sacerdoti che hanno incarnato questa parola fino a renderla luce, passione e benedizione; ma ne ho conosciuti altrettanti che hanno ridotto il tutto a sudiciume, vizio, maledizione. Ne ho conosciuti gioiosi, tristi e arrabbiati.
Ho conosciuto dei preti matti da legare, nel senso buono, altri come imbalsamati, irrigiditi dalle regole, ed altri serafici, reclinati sul petto del Maestro. Ne ho visti certi irretiti dal potere e dalla volontà di emergere sugli altri, che non hanno badato ad elargire fango e merda su quelli migliori, buoni, santi. Ho visto preti semplici come la terra, radicati così tanto nel vangelo da non concedere sconti ne a se stessi ne ai fedeli, e per questo giudicati troppo duri e lontani dalle esigenze del popolo.
Certi preti si sono rovinati o lo sono stati ingiustamente, altri hanno piantato le loro tende negli uffici delle curie, altri nelle parrocchie, cosicché le une e le altre diventano feudi nei quali nessuno può più entrare.
Ho provato ammirazione per tanti sacerdoti ma non sono mai riuscito a sentirmi al mio posto, nonostante la dedizione e la convinzione che quella fosse la mia strada. Ci credevo finché ho capito che non ero compatibile ne col sacerdozio ne con l’ambiente religioso e ad essere sincero non mi sento in colpa per aver lasciato il ministero ed aver ricostruito una vita con la donna che Dio mi ha condotto dinanzi.
L’ho fatto per amore e in libertà ma anche per rispetto nei confronti del sacerdozio che non poteva essere vissuto col piede in due staffe. Continuo a pensare che pochi possono capire quello che vive un sacerdote e che lasciare il ministero rimane un dolore, così come immagino sia una sofferenza assistere al proprio fallimento come marito o moglie o padre o madre. Al tempo stesso faccio fatica a capire quelli che si sentono scandalizzati o delusi, quelli che tolgono il saluto, che giudicano e affilano le lingue per colpire alle spalle e calunniare. Insomma a molti la cosa non è andata giù e così siamo divenuti un facile bersaglio, esposti a tutto, perché tutto si può dire in questi casi.
La chiesa ha dato prova dei suoi modi strani di trattare un ex prete e, soprattutto, la donna che è al suo fianco, giudicata la colpevole di tutto e per questo infangabile da capo a piedi. Perdonare? Mah! devo essere sincero: non so cosa significhi. Preferisco dimenticare ed avanti, guardare il volto della mia donna e dei miei figli ed esserne semplicemente grato.
Oggi vivo una storia nuova e mi piace cogliere con stupore ogni frammento di questa esistenza, senza lasciarmi andare a facili lamentele e recriminazioni: si sa, la libertà ha un prezzo e questo va pagato puntualmente e senza dilazioni. Mi sta bene. So che ogni giorno può essere un’occasione per far crescere qualcosa di buono sul suolo che mi è stato affidato, ma anche per ricevere e accogliere quanto la vita mi offre, godere della bellezza che è intorno e dentro di me, benedire e ringraziare.
Non mi lascio dunque andare a sterili e scontate polemiche pur avendone diritto, ma cos’è il diritto se poi lo si usa per alimentare odio? So che nella chiesa ho trovato del buono e questo trattengo per me, il resto lo lascio ai ciarlatani che amano gozzovigliare nei luoghi comuni e nelle frasi fatte, senza prendersi la briga di informarsi accuratamente sui fatti che vanno sbandierando in giro con arroganza. Ma vi dirò che in me vive una profonda conflittualità con quella parte di chiesa così lontana dall’essere amorevole e accogliente.
Capisco perciò quei preti che ora sono in difficoltà e che, pur avendo incontrato qualcuno che amano davvero, hanno paura di avventurarsi in una storia che li porterebbe in una terra sconosciuta e potranno essere considerati fuggiaschi e raminghi come Caino o traditori come Giuda.
Per noi è stata dura ed ancora oggi, nonostante siano passati quattro anni, sembriamo, per qualche anima candida, degli appestati da evitare. Ma questo non ci fa più male come in passato. Oggi ci ridiamo su e rispondiamo amandoci felicemente e appassionatamente, perché l’amore, dopotutto, è l’unica possibile risposta.
Questo primo articolo lo termino così. Potete commentare, criticare, condividere oppure beatamente ignorare.
Caro Federico, mi fa piacere leggerti.
Percepisco, nelle tue righe, una pluralità di emozioni. Da una parte il desiderio di libertà, quella che tutti noi dobbiamo a noi stessi, quella libertà che ci dà la possibilità di comprendere il senso più profondo della NOSTRA vita che, per ragioni culturali e sociali è spesso soffocato da un rigido schema di regole e valori non nostri.
Dall’altra un senso di delusione dovuto, forse, alle tue aspettative disattese nei confronti degli ‘altri’.
La ricerca della nostra identità e della nostra missione in questo mondo non ci appartiene culturalmente. Fin da piccoli siamo chiamati a DOVER fare piuttosto che a VOLER fare. Siamo incastrati in un rigido percorso che è difficile mettere in discussione perchè ‘è così’ e questo ‘è così’ va ad ancorarsi a ciò che siamo nel profondo al punto da non lasciarci liberi di osservare il mondo con la purezza e la bellezza di ciò che siamo.
Il tuo percorso è stato e lo è ancora oggi un percorso di scoperta. La scoperta di chi sei davvero. Come diceva Pindaro ‘diventa ciò che sei’. A questo siamo chiamati e per questo dobbiamo affrontare il nostro viaggio. Il nostro, di nessun altro. Ben comprendo che non siamo soli in questo mondo, così cristallizzato nelle false convinzioni che limitano la nostra espressione più pura. Ma poco importa. Il viaggio verso la ‘libertà di ESSERE’ è un viaggio non semplice, che richiede coraggio per andare avanti, senza paura del giudizio, il nostro in primis e poi quello degli altri. E’ un viaggio che non sappiamo dove porta ma che vale la pena intraprendere per scoprire quanta bellezza c’è dentro di noi.
Ora che hai iniziato questo nuovo percorso hai maturato più consapevolezza (così scrivi) e quando si è consapevoli non può più far finta di non sapere; si può solo andare avanti nella motivazione che siamo tutti padroni della nostra vita. E tu lo stai facendo con coraggio nonostante gli sguardi e i pensieri di chi, incastrato in una ‘educazione’ che non ammette discussioni, crede che siate ‘degli appestati da evitare’.
Ma a voler ben riflettere… quale il senso di dare peso a chi non ha avuto la fortuna, il coraggio o la capacità di sapersi mettere in discussione così come hai fatto tu? Quale è il senso delle aspettative che nutri nei confronti degli altri? Quale il senso di guardare indietro? L’esperienza e il passato sono un bagaglio culturale importante ma anche un limite per chi corre con lo sguardo volto al futuro e alla espressione di se. E allora ti auguro, vi auguro, di vivere la vostra vita nella consapevolezza che siamo in questo mondo per dare un senso più profondo a ciò che siamo, con rispetto del giudizio altrui (a che serve metterlo in discussione?) ma nella consapevolezza che l’unica cosa che conta è essere felici.
E ti auguro che la FELICITA’, che risiede nella essenzialità delle cose e non nel soddisfare le aspettative degli altri, vi accompagni a lungo.
Un abbraccio,
Sergio
Ti rispondo con un enorme ritardo caro Sergio. Grazie per le parole che hai condiviso!