Quando una persona muore se ne va anche parte di noi. Avvertiamo lo strappo, inutile dire che non è così, e questo accade in maniera più distinta quando la persona che se ne va è uno dal quale abbiamo ricevuto qualcosa di importante.
Sono rimasto colpito dalla morte di Ennio Morricone, come molti. Conosco alcune delle più famose composizioni, quelle dei film western, quella del film Mission, soprattutto Gabriel’s Oboe, o C’era una volta in America, ma non posso definirmi un gran conoscitore delle sue opere.
Però qualcosa nella sua persona mi affascinava e continua a dare molte suggestioni da cogliere per la mia vita: il suo totale darsi alla musica, il fondersi con essa e lasciare emergere lei unicamente e per essa dedicare il proprio tempo con disciplina, austerità, tenacia.
Capire che dietro un’opera, capace di suscitare esplosioni interne a chi ascolta, ci sia tutto questo, mi da le vertigini e un senso di profonda ammirazione; sembra suggerire che quando credi in qualcosa devi essere una sola cosa con essa, che devi dare forma a quello che senti, che devi vivere seriamente il tuo compito e la tua vita, per dare qualcosa che solo tu puoi dare a questo mondo, e nessun altro al posto tuo.
Ma un’altra sfumatura vorrei condividere, senza naturalmente pretendere di riassumere la storia di un grande in quattro righe di un blog appena nato: è una parte del suo auto-necrologio, precisamente quelle rapide righe nelle quali spiega la scelta di avere un funerale privato: non voglio disturbare!
Sono trasalito. Un mondo di pensieri ha avvolto la mia mente. Parole semplici che rivelano una straordinaria umanità, che non pretende nulla e che, anzi, dona accarezzando ed indicando una via silenziosa, un passaggio stretto e segreto.
Una delicatezza alla quale non siamo abituati, una discrezione che consideriamo, il più delle volte, figlia della sconfitta, una nobiltà che cestiniamo come passata e non più di moda, inefficace, inutile.
Se penso a quanti disturbatori gracchiano da ogni pulpito mediatico che esiste in rete, per vomitare il proprio “pensiero” ad un mondo che sembra oltretutto assuefatto a certi velenosi liquami;
ai disturbatori chiedono continui favori e saccheggiano la benevolenza altrui per poi fregarsene delle loro difficoltà;
a tutti quelli che alzano sempre la voce per attaccare qualcuno e per farsi portavoce di verità indiscusse;
alle persone ingombranti che disturbano il prossimo con la loro passività, parassiti che vivono aggrappati agli sforzi degli altri e dello stato, quelli che portano solo scompiglio e malevolenza e che organizzano sistemi iniqui di sfruttamento e di incitamento all’odio.
Non voglio disturbare. Appunto!
Forse anche noi abbiamo bisogno di dirigere la nostra vita con mani forti e sapienti, dirigerla verso una dimensione più segreta, silenziosa, gentile e rispettosa. Una vita che sia creativa, che sia capace di dare bellezza e suscitare emozioni; una vita che sappia riconoscere i propri affetti e non confonderli nel marasma delle relazioni, ormai per lo più virtuali, che si vivono.
Non voglio disturbare, mi ha riportato alla mente la storia di un’altro uomo che ho conosciuto solo attraverso il racconto di altri, ma che ha avuto da sempre un enorme impatto nella mia ricerca di una autentica spiritualità. Era un padre gesuita, direttore spirituale del seminario di Anagni e insegnante di filosofia, si chiamava padre Mario Rosin.
Negli anni di seminario e soprattutto nella ricorrenza della sua morte, il 29 aprile del 1991, leggevamo i suoi scritti, le poesie, le meditazioni, e ascoltavamo gli aneddoti di chi lo aveva conosciuto. Tra le tante cose ciò che più mi colpiva era il suo testamento spirituale:
Tu l’hai letto o Signore tra le pieghe del mio spirito il mio ultimo sogno:
morire in silenzio, uscire dal mondo in punta di piedi!
E’ un sussurro d’un cuore sereno
che canta sommesso tra i molti fragori d’un mondo in subbuglio.
E’ un profumo di fiore nascosto che accarezza
i gelidi venti dei miei mesi invernali.
Vorrei uscire dal mondo come una larva di servizio
che da una sala di convito quando tutti sono allegri
chiamata altrove s’eclissa, frettolosa
inosservata
silenziosa…
Vorrei uscire dal mondo come una figura amica
che da una stanza d’ospedale quando tutti sono assopiti
finito il suo turno scompare,
senza saluti senza sorrisi
in punta di piedi.
Il buon Dio prese alla lettera il suo desiderio, perché improvvisamente morì mentre era a disposizione dei seminaristi per le confessioni.
Non voglio disturbare, in punta di piedi. Uomini che hanno saputo dare la propria vita per ciò che amavano e l’hanno resa un’esempio per molti, anche per i più lontani o per quelli che ne sono stati appena sfiorati. Maestri, padri ma prima di tutto uomini, di quelli veri, che hanno donato l’essenziale lasciando solamente intravedere qualcosa di più grande e misterioso.
Dopotutto c’è un segreto nella storia di ciascuno noi, qualcosa che ci rende unici ed irripetibili. Buna ricerca!