Nessuno è buono! Il vangelo offre sempre delle parole infuocate e pervasive, a dispetto di quella melensa retorica che parla di tutto pur di non toccare seriamente l’unica cosa che conta.
Non siamo buoni, nessuno lo è! Questa a mio avviso è una buona notizia perché non da adito a nessuno di sentirsi un padreterno sceso in terra.
Olè! Qualcuno si sentirà offeso, soprattutto quelli del politicamente \ religiosamente corretto, quelli che non vedono l’ora di sbandierare al mondo la loro squallida illusione di bontà, quelli che sciacalleggiano felici sulla morte degli altri, quelli che hanno sempre un motivo per far sentire al mondo la loro inopportuna e stridula voce.
Nessuno è buono. Avete mai ascoltato un annuncio più bello di questo? Io oggi finalmente dico no, non ho mai avuto una rivelazione più forte di questa, che mi ricompone, mi rimette al posto e mi fa sentire vero.
Non credo sia un livellamento dell’umanità, una specie calderone nel quale finisce tutto, un’indifferenziata del volemose bene che tanto alla fine la sfanghiamo tutti con un bel 6 politico, o una negazione della bontà comunque presente in ciascuno.
Cosa significa dunque? Bene mi sono dato qualche risposta semplice e, spero, efficace.
- Se voglio crescere e migliorare devo sempre partire da me stesso. Devo riconoscere la mia verità, le mie ferite e le asperità del mio percorso.
- Il male non è mai il punto di partenza, ma esiste e il suo istinto è accovacciato alla mia porta. Negare non serve a nulla, solo ad ingannare me stesso.
- Dominare me stesso significa essere in grado di decidere in libertà. Significa ammansire le bestie interiori che potrebbero divorare la parte sana di me, significa vivere una vita che tende costantemente alla giustizia.
- La storia che mi è stata donata è bella e non posso lasciarla marcire; c’è sempre il rischio di rovinare tutto, per questo occorre una specie di freno interiore, una percezione del pericolo e del limite che non può essere valicato, un sano e santo timore di perdere quel che è più importante e che amo.
Davvero non c’è battaglia più grande da compiere se non quella interiore per ottenere il possesso della propria terra.
L’atteggiamento di rassegnazione nei confronti del male, equivocato spesso con la misericordia, è il principio del disfacimento dello spirito.
Sono consapevole che esiste la strana possibilità di accettare semplicemente il male, crogiolarsi tiepidamente al suo fianco, rimandare ogni azione al domani, o rimettere tutto nelle mani di qualcun altro, magari nelle mani di Dio; già, quell’eterno tappabuchi dell’indolenza umana.
A guardare bene posso anche amare il mio non essere buono, o meglio sfruttare la mia condizione di fragilità per cercare la commiserazione altrui e godere di quelle attenzioni che altrimenti non otterrei.
Oppure vivere la boria del rifiuto, l’orgoglio dell’uomo che non deve chiedere mai, per il quale le debolezze appartengono agli inferiori e agli improduttivi e non a me, uomo di successo. Certo basta guardarsi intorno per vedere che la fine di certi personaggi gonfiati col lievito della tracotanza è un abisso di solitudine e disprezzo.
Posso infine spostare l’attenzione sul male dell’altro, la famosa pagliuzza nel suo occhio, aggredirlo con foga rabbiosa e animo integerrimo, solo per nascondere a me stesso e agli altri che ciò che vado condannando nel prossimo appartiene anche a me.
Cerco di accogliere queste parole con tutta onestà e apprezzo che ci sia qualcuno nella mia vita che mi introduca in una visione diversa di me stesso, magari meno edulcorata ma certamente più aderente alla realtà con la quale fare i conti.
Nessuno è buono ma ognuno può provare a divenire una persona migliore.
👏👏👏👏👏