Lunedì mattina mi trovavo al supermercato per la solita spesa di inizio settimana: niente di particolare, niente ansia eccessiva per la storia del corona virus, prendo le giuste precauzioni e procedo con i miei impegni.
Al mio arrivo c’è una breve fila di persone con i rispettivi carrelli e buste che attendono il via libera per entrare. Ci vengono fornite delle mascherine. Ho con me una lista di cose da comprare e mi addentro con scioltezza nei reparti alla ricerca di ciò che mi occorre.
Giunto al banco del pane prendo il numeretto e vengo invitato ad attendere il mio turno: a terra vedo dei nastri adesivi neri che delimitano uno spazio di sicurezza tra i clienti e il banco, ed è lì che devo attendere.
Una signora al momento del mio arrivo sembra disorientata, anzi terrorizzata. Glielo leggo negli occhi, perché tra mascherina, cappello e sciarpa, l’unica cosa che scorgo è il suo sguardo, come due tremanti lumicini in preda al timore che qualcosa potesse scatenarsi contro di lei; in quel momento ero un portatore sano di paura, un nemico.
Si allontana prendendo almeno un metro dalla distanza che già intercorreva tra noi e inizia a battere il piede impaziente. Vuole andare via e lo fa con la rapidità di una lucertola strappando dalle mani dell’operatore la confezione di pane tanto attesa e spingendo a fatica un carrello strabordante di viveri.
Un’altra signora osserva quelle strisce delimitanti e cinguetta: Ma guarda che fine abbiamo fatto, che esagerazione. si guarda intorno alla ricerca di consensi, applausi, rivolte, non lo so.
Io la guardo spazientito; avrebbe elargito abbracci e baci come se non ci fosse stato un domani. Ma c’è l’oggi, il domani e pure il dopodomani cara signora, perciò la prenda sul serio!
Finisco di fare la spesa ed anche alla cassa trovo ad attendermi strisce a terra e l’avvertimento della cassiera a rispettare la distanza. Obbedisco senza discutere ne commentare.
È una situazione che potrebbe tirar fuori il peggio da ciascuno di noi, forse perché ci sentiamo violentati e turbati da qualcosa che non possiamo gestire; ma potrebbe essere anche un’occasione per far emergere qualcosa di diverso dalla mera lotta per la sopravvivenza.
In parte sono preoccupato come tutti per una situazione che degenera di giorno in giorno, ma sono anche abbastanza convinto che, rispettando le regole, ne usciremo fuori.
Nel frattempo fuori si è formata una lunga fila di persone che attendono di entrare; alcuni mi guardano con invidia mentre mi dileguo soddisfatto e rilassato! Altri sono inchiodati sugli schermi dei loro smartphone, altri ancora cercano di scrutare la situazione all’interno del supermercato e qualcuno aspetta tranquillo e pacificato da questo improvviso quanto inatteso rallentamento della vita.
Ed io lieto di aver concluso la spesa in un tempo ragionevole, monto in macchina e riprendo la via di casa dove, solo dopo aver compiuto le dovute abluzioni purificatrici con l’amuchina, posso tornare ad immergermi nel contatto umano con i miei amati.
Penso a come i nostri rapporti in fondo abbiano bisogno di purificazione da certe contaminazioni nei confronti delle quali abbiamo spesso un atteggiamento di accettazione: penso alla diffidenza e alla paura, penso all’infedeltà e all’ipocrisia.
Gli affetti che spesso cadono in una specie di raccolta indifferenziata nella quale c’è spazio per tutto e tutti, dicono, col risultato che nessuno ha il posto giusto e nessuno è amato davvero.
Forse queste distanze, alle quali oggi siamo obbligati, ci aiuteranno a capire quali sono i rapporti che contano veramente nella nostra vita e quali no; così come le regole e l’ordine possono dare un nuovo senso alle nostre frenesie che divengono quotidiani scontri e sorpassi vietati, solo per guadagnare qualche minuto di vita.
Chissà se impareremo qualcosa da questo ennesimo insegnamento che la storia ci porge con severità, oppure se, come un popolo dalla dura cervice, presto dimenticheremo e torneremo a crogiolarci nelle nostre cose senza aver tratto qualcosa di buono da questo amaro scrigno.
Intanto proprio in questi giorni lenti e misteriosi, la nostra gattina ha partorito tre cuccioli: li guardo e penso che non ci sia niente di più vulnerabile di un cucciolo che ha pochi giorni di vita, niente di più bisognoso di premura e tenerezza.
Che bella immagine però la vita che promette nuovi inizi e nuovi giorni da vivere.
Noi oggi, che stiamo sperimentando la nostra vulnerabilità, sentiamo ancor più il bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi e ci mostri attenzione e rispetto; ma abbiamo anche bisogno di prendere sul serio questa nostra vita, come scriveva il poeta turco Nazim Hikmet, ma sul serio a tal punto che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi non perché restino ai tuoi figli ma perché non crederai alla morte, pur temendola, e la vita peserà di più sulla bilancia!