Qualche mese fa ho ottenuto la dispensa dagli obblighi derivanti dal sacerdozio.
Il percorso è stato breve considerato il fatto che ho una figlia e che sono sposato civilmente, perciò la mia decisione era da considerare irreversibile.
Certo dico, mica metto al mondo una creatura, vabbè c’ha pensato mia moglie, e poi accanno tutto per rimettermi la tonaca e continuare come se niente fosse accaduto.
Da premettere che Diletta non è nata per caso o per sbaglio o durante il periodo in cui ancora esercitavo il ministero.
Lei è stata, lo dice lo stesso nome, amata, desiderata, attesa, voluta con tutte le nostre forze e con tutto il nostro amore quando la tonaca era già appesa al chiodo e avevo già comunicato la decisione di lasciare il ministero.
Purtroppo in questo curioso mondo sommerso di preti e religiosi (pochi, molti?) che vivono l’amore umano sono in molti a non sapere come portare avanti le loro storie, hanno paura di decidersi e lasciano in sospeso le donne o gli uomini che dicono di amare.
Ho letto tempo fa un’articolo di una donna che aveva una storia d’amore con un prete e naturalmente tale relazione è clandestina.
In un passaggio dell’intervista la donna si definisce: la metà di niente https://luce.lanazione.it/amore-sacerdote-peccato/ .
Ho fatto così una serie di considerazioni amare sul tragitto che uomini e donne devono compiere per poter dare al loro amore una possibilità, amore che spesso rimane frustrato e destinato a vivere nell’ oscurità e nella negazione, nella paura e nella condanna.
Si dovrebbe parlare del curioso caso del celibato dal quale io, come in altri casi, sono stato dispensato, cioè liberato.
Premetto che per me non era necessario questo passaggio per sentirmi a posto con Dio, con me stesso e con le persone che amo. Volevo solo essere onesto e scegliere di vivere la mia umanità e la mia fede in un modo più consono a me.
Quando perciò, dopo aver ascoltato le indicazioni del rescritto nei confronti del chierico dispensato, aver posto la domanda: “Quindi?” e aver ricevuto la riposta: “Ora sei libero”, mi sono fatto una risata ed ho amato ancor di più la mia condizione ma anche, di nuovo, la chiesa.
Sembra strano ma non ho rancore verso l’istituzione ecclesiale, i preti, i vescovi e nemmeno verso i papi, pur rimanendo perplesso da certi stravaganti atteggiamenti, che chiamano precauzionali, e da quei silenzi inopportuni e devianti su questioni delicate.
Ci sarebbe bisogno piuttosto di parresia, ovvero, per i meno avvezzi alla terminologia biblica, di dire la verità senza filtri o censure, parlare apertamente e liberamente di ciò che accade nella chiesa.
La richiesta della dispensa è stato un passo di riavvicinamento verso la chiesa. L’ho fatto perché sentivo di aver bisogno di ricomporre uno strappo che per vari ragioni si era fatto davvero ampio.
Non avevo perciò in mente di aprirmi delle porte di emergenza, tipo chiedere un lavoretto o una raccomandazione a qualcuno che conta, e nemmeno per rivendicare qualche diritto che mi sono visto negare.
L’unico desiderio era quello della riconciliazione che per la chiesa doveva prendere ufficialmente forma con la richiesta di dispensa.
Devo essere sincero: la sensazione che ho avuto e che ancora faccio fatica a superare, è che la questione degli ex sacerdoti o degli ex religiosi, sia un impiccio del quale ci si vuole sbarazzare il prima possibile, soprattutto riducendo al silenzio tale realtà che però non è affatto marginale nella chiesa.
Vi è tutta una terminologia, che non tarderò ad affrontare nei prossimi articoli, che ritengo curiosa, a volte bizzarra che traccia una linea da percorrere senza se e senza ma.
Le parole sono importanti ed esse affondano la loro forza nelle menti e nel pensiero che diventa poi modus operandi.
Perché scrivo ciò vi chiederete?
Sinceramente io ho sempre faticato a stare nella chiesa, non trovandola quasi mai aderente alla mia persona coi suoi modi e con la sua dottrina.
Ho sempre sentito un forte dissidio tra ciò che avvertivo dentro, cioè la vitalità e la passione della mia umanità e della mia fede con le regole e i dogmi che mi hanno quasi sempre lasciato indifferente.
Perciò la mia posizione non è di sterile polemica per qualche torto subito e nemmeno un invito a cambiare la dottrina, le regole e le tradizioni.
Per far questo ci sono fior fiori di teologi, scrittori, preti, studiosi e quant’altro.
Io semplicemente desidero agitare le acque troppo quiete, anzi per dirla con Thoreau, in quieta disperazione, https://lasettadeipoetiestinti.org/linsegnamento-di-thoreau/ , di un sistema che non riesce a dialogare serenamente su una problematica troppo profonda e radicata per poter essere ignorata.
I problemi, quando ci sono, non si affrontano col silenzio o facendo finta che non ci siano o pensando che essi, prima o poi si risolveranno da soli. Spero che qualcuno nella chiesa lo capisca.
Il mio è un curioso caso di dispensato che nella chiesa ci è inciampato, ci ha sbattuto il grugno e si è fatto male.
Vi ha poi inveito contro, ha continuato il suo cammino finché si è reso conto di qualcosa che forse può essere salvato in tutta quella storia passata.
C’è un’opera di svecchiamento in corso d’opera: nasciamo vecchi ma siamo chiamati a diventare giovani, tornare bambini, sguazzare nello stupore e nella spontaneità, nell’amicizia e nella fiducia.
E infine morire, felici di aver vissuto una vita bella.
Mia figlia ha una bella risposta da darmi ogni qual volta nota il mio volto appesantito dalle preoccupazioni e segnato da riflessioni che incidono righe precoci.
Mi dice con candore: “Papà è felice!”. Ed io, liberato all’improvviso da quel cappio mentale, capisco che è vero. Sono felice e questa è la felicità che auguro a tutti.