Un libro? Si prima o poi ne scriverai uno, tutti i preti ne scrivono uno, incalzò.
E se mi spreto? chiesi ridendo.
Beh, ne scriverai comunque uno perché ne avresti di cose da raccontare.
Come spesso è accaduto nella mia vita vengo riportato indietro nel tempo per ricordare eventi, incontri, parole che oggi sembrano quasi profetiche.
La storia del tale che previde la scrittura di un libro da parte mia è un mattone che si unisce ai tanti altri che hanno formato nel tempo l’edificio della mia storia.
Onestamente non pensavo di arrivare a questo punto, ma del resto non immaginavo nemmeno di poter diventare prete e poi lasciare il ministero per iniziare una meravigliosa storia d’amore, sposarmi e diventare padre.
La mia vita è composta di numerosi: “Non pensavo” a garanzia del fatto che la storia si sviluppa nel segno dell’imprevedibilità che ho imparato di volta in volta ad assecondare il più possibile.
Mi pare che il meccanismo sia questo per me, quello ben oliato e riconoscibile, che mi porta esattamente dove devo essere, senza troppe storie.
“Ero prete”. Questo è il titolo del libro che ho finalmente terminato di scrivere, che è prossimo alla pubblicazione e che ho deciso di presentare attraverso questo articolo.
Scrivere per me non è in prima battuta una passione. Non sono uno di quelli che mantiene un diario o si mette con costanza a scrivere qualsiasi cosa gli passi per la mente. Scrivere è una necessità, un’urgenza, una lotta che devo compiere per liberare la mia mente e la mia anima da parole che arrivano e premono con insistenza per essere ascoltate, con quel carico di inopportunità tipico degli scocciatori che alla fine vengono esauditi per lo sfinimento che solo loro sono capaci di arrecare.
Le parole di questo libro sono state strappate agli impegni quotidiani. Mi piace la mia vita e mi piace esserci con tutto me stesso. Considero prioritario assaporare ogni momento che vivo con le persone che amo, sentire e gustare le cose internamente, che significa dare ampiezza e profondità a tutto ciò che riempie la mia giornata. Vivere di getto, con impeto, ardore, totalità e gioia. Ma in tutto questo vivere che amo non ho mai escluso quella parte di me che rumina gli accadimenti, che vuole trattenere per comprendere, che guarda oltre, o se volete, più in profondità, perché sa che troverà delle risposte, delle illuminazioni, delle consolazioni e nuove domande ancora.
Questo è stato necessario non solo per il presente ma anche e soprattutto per il mio passato, nel quale ho voluto sostare per ricomprendere i motivi delle mie scelte, per afferrare dei dolori che dovevano essere guariti, riguardare errori che dovevano essere perdonati, riprendere la coda dell’ira e dei miei più intimi tormenti che avevano bisogno di essere placati.
E poi per riscoprire i segnali che molti compagni di viaggio hanno voluto trasmettermi, per disseppellire una fiducia nella vita ed in me stesso che avevo ingiustamente dimenticato, per credere che vivo in una benedizione che affonda le sue radici nella mia storia anche se non sempre sono in grado di comprenderla e darle il giusto merito.
Ho strappato perciò delle parole alla memoria e ne ho sentito spesso un dolore fitto e perdurante che ha scavato dentro lo spirito e la carne per poi riemergere addolcito e composto, dandomi la sensazione di aver reso giustizia ad eventi che dovevano essere lasciati andare in pace e non restare imprigionati nelle carceri della dimenticanza.
Durante i turni di notte, o negli sprazzi di albeggianti giornate, per mesi e mesi, ho rimesso in ordine dentro e fuori di me.
Scrivere ha significato dare un nome e mettere le cose la proprio posto ma senza levigarle e abbellirle eccessivamente come si fa oggi per mostrare se stessi al mondo; ho preferito essere il più reale possibile, come se stessi rivendo quei momenti e di volta in volta riviverne le emozioni e le reazioni, non sempre lodevoli ed esemplari.
La mia necessità era la verità e questa doveva essere nuda e cruda, priva di giudizi o modifiche, una realtà senza fotoshop.
Ma un altro e non secondario motivo che mi ha portato alla stesura di questo libro è stata la voglia di dare un’occasione all’amore e di raccontarlo così come sono in grado oggi di viverlo.
Può anche essere inteso come una grande dichiarazione di amore e stima per la donna che è al mio fianco, la sposa, la madre, molto spesso la guida, la mano tenera che conforta, la parola dura che sprona.
Lei è molto, tutto, l’inesprimibile sensazione di essere a casa, la metà corrispondente, la mèta e insieme il principio di un viaggio da intraprendere ogni giorno.
Questo vuole rendere giustizia alla donna in un circostanza nella quale il prete continua in parte a godere del suo seguito (questo è quello che accade a noi, badate, non sto inventando nulla) ed essere stimato, ma la sua donna, dai più, viene vista come la causa dell’abbandono, come la tentatrice che ha sedotto il povero ed ingenuo sacerdote, il principio dei mali e per questo non merita saluto ne benevolenza.
Ed è strano questo atteggiamento soprattutto in un periodo storico così attento e sensibile al ruolo della donna nella società così come nella chiesa.
A conti fatti la storia si ripete e chi ci rimette è lei, la donna.
Non voglio cadere nella trappola del vittimismo, tantomeno lei che sa farsi valere e rispettare con grande risolutezza ma da qui, dalle piccole situazioni più o meno ordinarie, deve iniziare un cammino di rinnovamento serio e rispettoso senza lo stridore di parole urlate da certi pavoni delle piazze e dei social.
Questo lavoro, diluito nel tempo e corroborato dalla continua riflessione, ha portato ad una pacificazione inaspettata nella mia vita in tutti i suoi aspetti, ed è perciò un invito a fare lo stesso, cioè fare pace dentro di se attraverso una rilettura della propria storia, senza i filtri della paura e senza la censura della vergogna.
Credo che questa vulnerabilità ci renda più forti, consapevoli e pronti a vivere di nuovo, ricominciare, ripartire, osare di più.
Ed è questo uno dei motivi che mi ha spinto a condividere una storia che si alterna tra leggerezza e gravità, in linea con la vita che viviamo e che alla fine tutti amiamo così tanto da non volerla sprecare in alcun modo.
Vi sono anche riflessioni sulla fede e sullo stato di un ex prete, questo naturalmente non poteva mancare.
Ma non ho calcato la mano come quelli che non vedono l’ora di togliersi il famoso sassolino dalla scarpa; ne ho avuto la tentazione, sia chiaro, ma sarei stato ingiusto e sciocco.
Ho scritto quello che ho attraversato, quindi parlo anche dei momenti di grande rancore verso la chiesa, delle mie iniziali difficoltà per trovare lavoro e di quella strana condizione che a fatica ho elaborato, quella riguardante cioè il mio stato in essa, chi fossi io per la chiesa e cosa essa fosse ancora per me.
I conflitti interni di un ex sacerdote non sono di facile gestione e mi chiedo quanti siano oggi a trovarsi in quella sorta di limbo, dove si balla poco e si pena molto, avvertendo il giudizio spesso spietato della Madre amata per quale si vorrebbe essere ancora qualcuno e non un impiccio da togliere di mezzo.
Un invito rivolto a loro ad uscire allo scoperto in qualche modo, di non vergognarsi, di reclamare la rispettabilità della loro scelta senza sbandierarla per altri fini.
Detto questo vi saluto ricordando che avrete presto notizie di questa pubblicazione e che potrete in qualunque momento, se lo leggerete, aiutarmi con feedback, considerazioni, critiche e tutto quello che volete.
E che la cerimonia abbia inizio!
Non vedo l’ora di leggere il tuo libro! 😍❣️
Non vedo l’ora di leggere il tuo libro ❣️❣️
😁spero presto