Domenica sera. Dopo una giornata intera di lavoro resto in casa famiglia per la reperibilità notturna.
Il sonno, nonostante la stanchezza, non arriva perché una serie di pensieri hanno preso a circolare nella mia mente facendo a sportellate l’uno contro l’altro per stabilire le gerarchie. Trascorro molto tempo in uno stato di ascolto e di indecisione. I pensieri sembrano bambini che pretendono tutti la stessa attenzione nel medesimo istante, spintonandosi tra di loro, sgomitando e sovrapponendo le loro richieste.
Solo con un po’ di pazienza lascio che emerga quello che è più interessante e aderente al momento. In notti come queste somiglio ad un gufo tra le rovine, come recita un salmo della Scrittura, che veglia nell’oscurità del mondo e di se stesso, scruta e si interroga, ricordando.
Della domenica sera ricordo la recita del Nunc dimittus ai tempi del seminario, e la sensazione di trovarmi a camminare su di un crinale spirituale: ora lascia che il tuo servo vada in pace, implora il vecchio Simeone dopo una vita fatta di attesa e preghiera. Quanta pienezza deve avvertire in se un uomo per poter chiedere di andarsene da questa vita? Non credo sia una richiesta da fare con eccessiva disinvoltura, anche perché una volta trovato ciò che cerchiamo e ciò che amiamo, non desideriamo certo andare via sul più bello, proprio mentre i nostri occhi fissano qualcosa che ci incantata e che estirpa ogni altro desiderio.
Mi piace però, e lo custodisco, il senso del vegliare solitario e tenace tra le tenebre di questa esistenza, mi piace che ci sia dato un momento per tacere ed imparare qualcosa di nuovo anche quando sembra che tutto sia pronto al crollo e che anche a noi, alla fine, sarà data la possibilità di vedere la salvezza con i nostri occhi.
In questa notte sono anche vivi pensieri dolci che afferrano la mia anima, la stringono e la riportano a casa. Dove è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore, dice Gesù e mai come ora sento tutta la forza di queste parole. Bello aver trovato riposo per il mio cuore ed avere qualcosa per cui valga la pena sostenere qualsiasi sofferenza o rinuncia, perché troppo grande, anzi, inestimabile è il dono che la vita mi ha concesso.
C’è chi pensa che la vita domestica sia tutta divano e pantofole, piattume e riduzione e che il brivido sia altrove, nella carriera lavorativa ad esempio o nelle avventure extraconiugali, o non so dove, nei sogni, forse. Credo che la famiglia invece sia una sfida incessante, a volte dolorosa e, se lo si vuole, vera fino alla durezza, capace di richiamare dai sepolcri, nei quali li sigilliamo, i nostri sentimenti più nobili e forti, che rischiamo di dedicare ad altri in maniera indistinta ed eccessivamente generosa.
In queste ore le immagini dei loro volti accarezzano la mia solitudine e il suono delle loro voci riempie un lacerante silenzio: le distanze si accorciano anche così certo, ma non potrei pensare di durare a lungo senza di loro.
Domenica sera è anche un pensiero per i solitari che non hanno un domani davanti o che, pur avendolo, non ne trarranno alcun beneficio e nessun sollievo.
Penso alle parole del santo padre Francesco che venerdì si sono rincorse lungo il colonnato per essere poi condotte all’uomo dal suono delle campane e delle sirene: Ci credevamo sani. La pioggia e la piazza vuota, lacrime e solitudine di chi sta perdendo una persona cara o chi ha già dovuto affrontare una separazione; nessun rito che accompagna coloro che se ne vanno, nessun rito che conforti coloro che rimangono.
Difficile pensare ad un nuovo inizio ora che le nostre giornate sono scandite dalla paura e dall’incertezza. Eppure qualcuno saprà scrutare ancora nelle tenebre e vedere ciò che altri non scorgono, profetizzare qualcosa di inconcepibile, offrire ciò che è al momento inimmaginabile.
Solo occhi abituati all’oscurità possono vedere ciò che in essa si nasconde, proprio come i gufi, che tra le rovine del tempo continuano la loro veglia silenziosa, portatori di speranza, poeti del mistero.
http://francescocallegari.blogspot.com/2015/03/il-vecchio-gufo-comunita-di-bose.html